I segreti familiari
L’altra figlia
Annie Ernaux
Mia madre è immersa da non so quanto tempo in una conversazione con una giovane donna di Le Havre che trascorre le vacanze con la figlioletta di quattro anni a casa dei suoceri […]. Probabilmente è uscita dal negozio, che in questa stagione non chiude mai, per continuare a chiacchierare con la cliente. Io sto giocando vicino a loro assieme alla bambina. Si chiama Mireille, ci rincorriamo. Non so che cosa mi abbia allertato, forse la voce di mia madre, tutto a un tratto più bassa. Mi sono messa ad ascoltarla, quasi senza respirare.
Del suo racconto riesco a restituire soltanto la sostanza, e quelle frasi che hanno attraversato gli anni fino a oggi, che si sono propagate in un istante su tutta la mia vita di bambina come una fiamma muta e senza calore, mentre io continuavo a danzare e volteggiare lì vicino.
Racconta che oltre a me hanno avuto un’altra figlia e che è morta di difterite a 6 anni, prima della guerra […]. Descrive la pelle della gola, il soffocamento. Dice: è morta come una piccola santa. […] Non è come perdere il proprio uomo, e di me dice: lei non sa niente, non abbiamo voluto rattristarla.
Alla fine di te dice: era più buona di quella lì.
Quella lì, sono io.
Tutto si immobilizza.
Annie è stata colpita da uno schiaffo improvviso, inaspettato e amaro.
Fino a quel momento non aveva idea di aver avuto una sorella, Ginette! Come mai le è stato nascosto un segreto così grande? Per non rattristarla?
Consideriamo che in tutto il corso del libro si può vedere come per Annie sia stato più doloroso il segreto rispetto alla verità!
Una verità di cui non si può parlare, che non si tocca...ma la travolge per tutta la vita.
A cosa è servito allora mantenere il segreto?
Possiamo pensare che nell’espressione non abbiamo voluto rattristarla, la madre non parli di Annie, ma di sé stessa. Forse il concetto nascosto, inconscio, è “non riesco a parlarne perché fa troppo male, mi rattrista”. Allora forse parlarne rattrista lei, non Annie.
Questa è una sfumatura del segreto! Forse racconta più dei genitori, che di Annie stessa.
Come potevano decidere in anticipo come Annie avrebbe reagito a questa notizia? Si sarebbe rattristata? Probabile. Ma sarebbe stato peggio che sentirlo per caso mentre la mamma parlava con una cliente? Probabilmente no.
Inoltre si nota come, quando Annie viene a sapere di Ginette, inizia a mettere tantissimi tasselli al loro posto: il fatto di percepirsi sempre diversa, sempre quella sbagliata, quella che fa danni, in contrapposizione ad un’immagine sacra della sorella.
Buona. Credo di aver saputo già allora che questa parola non poteva essere applicata a me.
Buona voleva dire anche affettuosa, coccolosa, “amicosa”, come si diceva in normanno dei bambini e dei cani. Tutte cose che nessuno pensava di me. […] tra loro e me, da quel momento ci sei tu, invisibile, adorata. Vengo scostata per farti spazio. Respinta nell’ombra perché tu aleggi lassù nella luce eterna.
Ognuno in questa faccenda ha fatto in modo di creare una divisione netta. Da una parte i genitori, nel proprio dolore, hanno idealizzato Ginette rendendola la figlia perfetta morta in tenera età; dall'altra, per sottolineare la differenza con l'immagine sacra della sorella morta, Annie ha accettato il ruolo di figlia "sbagliata".
Per poter mantenere quest’immagine hanno tutti dovuto creare un contrasto, un’opposizione, attraverso il paragone tra le due sorelle:
la morte / la vita;
la buona / la cattiva;
il bianco / il nero;
Ginette / Annie.
Tuttavia questo essere opposta a Ginette ha aiutato Annie a mostrarsi ai genitori. A mostrare che lei c'era, che era viva!
Sembra che per farsi notare, per farsi accettare dai genitori, sia dovuta diventare la scapestrata, madama patacca, mangiona, saputella, insolente che non sei altra, pestifera. Semplicemente, tutto ciò che Ginette non era!
Come se, per esistere come loro figlia, Annie avesse dovuto dimostrare di non essere Ginette. E come farlo se non mostrandosi l'esatto opposto?
Quasi a dire: Eccomi! Sono Annie!! Guardatemi!
Tutto ciò sembra essere stato attivato da un segreto, da un non detto, dal timore del dolore.
Di provocarlo o di condividerlo? Questo non ci è dato saperlo.
Ma possiamo sentire quanto Annie, gli effetti di quel segreto, li abbia portati con sé per tutta la vita.
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