Trauma e amnesia dissociativa

Eleanor Oliphant sta benissimo

Gail Honeyman

 

È difficile parlarti di questo libro senza il rischio di spoilerare!

Ti consiglio, quindi, di leggerlo solo dopo aver letto il libro (se ti va di farlo) perché rischio di dirti davvero troppe cose!! Se invece non ti interessano gli spoiler, buona lettura!

Ora ci addentreremo insieme nei meandri della mente, tra trauma e dissociazione.

Non farti intimorire da questi paroloni, cercherò di spiegarti tutto nel modo più semplice possibile, d’altronde questo non è un blog per esperti, ma anzi, è per tutte le persone che non sono del settore e hanno la voglia e la curiosità di approfondire certi argomenti attraverso i libri… e allora 3…2…1… Via!

Eleanor Oliphant sta benissimo. Siamo sicuri? Cioè siamo sicuri che vada tutto bene?

Eleonor è una ragazza che conosci piano piano, pagina dopo pagina. Non si svela subito, si fa attendere.

Durante la lettura, l’immagine che si crea nella tua mente è quella di una donna a volte goffa, bizzarra, come se fosse stata lanciata nella realtà e non sappia come rapportarsi a tutto ciò che la circonda.

I dettagli emergono piano, a volte pensi “ma dove vuole portarmi l’autrice?”.

Subentrano sensazioni contrastanti, la ami e la odi, a volte vorresti prenderla per le spalle, scuoterla e dirle “SVEGLIATI! esci un po’ di più e vai a conoscere il mondo”.

Ma lei è così, chiusa tra le sue convinzioni e i suoi schemi di comportamento rigidi.

Ma rigidi perché?

Rigidi per chi?

Non c’è un modo giusto o sbagliato di vivere la propria vita ma possiamo domandarci a cosa le serva viversi la vita a compartimenti stagni, con regole fisse e con poca, pochissima, flessibilità?

Per fare un esempio Eleanor paga il conto quando esce a bere una birra con il suo amico Raynold, lui le dà la sua parte, e lei sottolinea che manca qualche centesimo per arrivare alla cifra esatta.

Perché per una volta (e per pochi spicci) non può lasciar correre?

Quanto è faticoso dover pensare a tutte queste piccole cose?

Magari la sua tendenza a essere cosi inflessibile è legato al voler avere il controllo su tutto: “se sono precisa non mi può sfuggire niente, e nulla può andare nel senso sbagliato”.

Si, ok.

Ma ne siamo sicuri?

E quando capita (perché capita) un imprevisto come fai?

Come gestisci la situazione se non va come ti eri rigidamente prefissato?

Diventa piuttosto complesso. Finisci per dover fare i conti con la frustrazione di non essere riuscito a prevedere tutto. Le cose non dovevano andare così!

Quando proseguiamo nella lettura piano piano possiamo farci un’idea del perché tutto debba essere preciso per Eleanor. L’equilibrio è basato sulla sua psicosi, sull’essersi creata una realtà parallela e dove il dolore è chiuso a chiave in un cassetto della sua mente. Forse è per questo che non può permettersi di abbandonarsi all’imprevisto. Sarà la dottoressa Tempe il suo imprevisto più grande!

Ma andiamo per gradi…

 

Il mercoledì è sempre scandito dalla telefonata della mamma dal carcere. Una mamma ambivalente che alterna toni dolci e teneri a toni aggressivi e svalutanti. Quando risponde al telefono Eleanor sa già che la porterà in un’altalena di emozioni in cui vediamo contemporaneamente l’amore e il terrore verso sua madre:

 

“Pronto?” dissi con una certa esitazione.

“Ah allora è pronto, vero? Pronto, è tutto quello che hai da dirmi? E dove eri ieri sera signorina? Eh?” Stava di nuovo parlando ad effetto.

“Mamma” balbettai. “Come stai?” feci del mio meglio per calmarmi.

“Non preoccuparti di come sto. Dov’eri ieri?”

“Mi spiace mamma”, risposi, cercando di mantenere un’aria tranquilla. “Ero…ero con un amico, sono andata a trovare un altro amico in ospedale a dire il vero.”

“Oh Eleanor”, riprese lei con voce che trasudava mellifluità, “tu non hai amici, tesoro. Adesso, dai, dimmi dov’eri davvero, e sta volta voglio la verità. Stavi facendo qualcosa di brutto? Dillo alla mamma. Fai da brava”.

“Sul serio mamma, ero fuori con Raymond”- ci fu un grugnito- “a far visita a questo simpatico vecchio in ospedale. Era caduto per strada, noi l’abbiamo aiutato e…”

“CHIUDI QUELLA BOCCACCIA, BUGIARDA!” sussultai, feci cadere il libro e lo raccolsi di nuovo.

“Lo sai cosa succede a chi dice le bugie, vero Eleonor? Te lo ricordi?”.

 

Possiamo notare qui l’ambivalenza e la svalutazione di cui ti parlavo.

Quali sensazioni ti suscita la lettura di questo stralcio?

A me sembra di sentire la paura, l’insicurezza, ma anche l’abitudine di dosare tutte le parole per paura di far scattare l’ira della madre. Sembra che Eleanor cammini sulle uova, non può fare un passo falso, non può essere mai spontanea e dire liberamente ciò che pensa. E allora forse capiamo perché anche negli altri ambiti della sua vita deve stare bene attenta a tutto..deve tenere degli schemi rigidi.

Un altro tema che ricorre è l’insicurezza di Eleanor, il suo essere goffa, impacciata e con una stima di se stessa davvero bassa.

Ricordiamoci che, fin da quando siamo bambini, è il rapporto con il genitore ad aiutarci a definirci. I genitori in primis, ma in generale il mondo esterno, fungono da specchio. Un bambino non nasce avendo già una alta o bassa autostima, ma la crea in base al modo che l’ambiente (e i genitori in particolare) ha di supportarla, di farle vedere il mondo come un luogo accogliente e di cui avere fiducia.

Qui non succede, anzi!

Iniziamo anche a spiegarci come mai Eleanor è così goffa e impacciata: il suo rapporto con l’esterno (l’ambiente fuori dalla famiglia) le viene fatto percepire come qualcosa di cui dover stare attenta. Chissà se la sua rigidità ha le radici proprio in questo?!

“Tu non hai amici, tesoro.”

Sicuramente stare dentro i suoi schemi la aiuta a difendersi, ma è un’arma a doppio taglio che, d’altra parte, non le permette di assorbire la bellezza del confronto con gli altri e di tutto quello che si può fare quando si esce dalla propria zona di comfort.

Proseguendo nella lettura scopriamo che il rapporto tra madre e figlie (c’era anche Marianne, la sorella di Eleanor), è basato sul terrore, sull’assenza di amore, sull’abbandono…e allora come ha fatto Eleanor, che era la sorella più grande, a prendersi carico di tutto questo? E soprattutto come ha fatto ad affrontarlo?

In psicologia si parla di Adultizzazione, quando a un bambino non gli viene data la possibilità, o il tempo, di fare tutte le esperienze che normalmente un bambino della sua età fa. Si trova, per così dire, a “crescere in fretta”, a essere investito di incarichi che non sono compatibili con la sua età.  

In questo caso Eleanor essendo la maggiore, diventa la madre di sua sorella.

Scusa il gioco di parole, ma la sensazione è proprio quella: accudisce Marienne, si preoccupa del suo benessere, è presente e la ama più di quanto non faccia la mamma, si butta tra le fiamme per salvarla.

Ha fatto la “sorella chioccia”, ma a che prezzo?

Forse il prezzo è proprio l’amnesia dissociativa che da una parte l’ha protetta dal ricordo di quella terribile vita, dall’altra non le ha per messo di integrare in modo coerente tutti i pezzi del puzzle della sua vita, e in particolare dell’incidente.

La dissociazione è proprio questa separazione “tra memoria, identità, percezione, rappresentazione del corpo e del comportamento.” E non avviene casualmente, attenzione, ma è spesso una conseguenza di traumi.

Nel caso di Eleanor si parla di amnesia dissociativa e si tratta proprio della perdita di alcuni ricordi traumatici, che proprio per la loro drammaticità non riescono ad affiorare alla coscienza e quindi ad essere ricordati.

Non è un caso che l’incendio sia l’evento spartiacque della vita di Eleanor: esiste una Eleanor prima e una dopo l’incendio.

L’incendio segna e influenza la vita di Eleanor da quel momento in poi.

E come può fare una bambina a sopportare una tragedia simile?

Rimuovendo il ricordo di quell’episodio, della sorella e di tutto quello che era successo. Per lei è talmente tanto difficile e doloroso che la sua mente elimina dalla memoria molte delle informazioni.

Ma attenzione, forse eliminare non è il termine giusto…nascondere, mi sembra più appropriato.

Il ricordo è presente nella memoria di Eleanor, ma non è accessibile. Per far sì che tutto rimanga così, in equilibrio, Eleanor escogita un meccanismo (di difesa dall’angoscia) e riesce a crearsi una realtà parallela in cui la mamma è ancora viva e addirittura la chiama dal carcere (in psicologia viene chiamata negazione).

Chiaramente Eleanor non è consapevole di questo meccanismo…è del tutto inconscio, ma è proprio questa la differenza tra il confidarsi con un amico e andare dallo psicologo.

Continua a leggere..

 

“Ma la mamma è ancora nella mia vita, persino dopo tutto questo tempo! E questo mi preoccupa. È una cattiva influenza, un’influenza molto cattiva.”

Maria alzò lo sguardo dal quaderno su cui stava prendendo appunti.

“Quindi le parli ancora?” chiese, fermando la penna.

“Si” ammisi, stringendo le mani e facendo un respiro profondo. “Ma pensavo che sia ora che finisca. Voglio smettere. Questa cosa deve finire.”

Non l’avevo mai vista così seria.

 

Questo è il passaggio in cui la psicologa capisce. Probabilmente conosce la storia e sa della morte della mamma di Eleanor, ma non si scompone. Eleanor nota che la dottoressa diventa seria, ha una reazione, forse rimane un po’ interdetta, ma quei pochi istanti rimangono così, fluttuano, apparentemente senza un senso.

La dottoressa Tempe sta con Eleanor, ne rispetta i tempi, non le svela la dura verità. In quel momento la verità di Eleanor è che la mamma è viva e la chiama dal carcere, e se è così è perché la sua mente ha ancora bisogno di credere in questo.

C’è da parte della dott.ssa Tempe un estremo rispetto per il dolore di Eleanor e per i suoi tempi. Ogni persona ha il proprio passo e avvicinarsi a ricordi dolorosi non è semplice per nessuno.

Per questo l’accoglienza, l’empatia e il calore di una psicologa fanno davvero la differenza!

Ecco questo è uno dei tanti modi in cui le persone reagiscono al trauma: dissociandosi ed eliminando dalla memoria l’evento traumatico.

È un modo per difendersi da un ricordo che sarebbe troppo doloroso. Insopportabile, direi.

Eleanor finisce per crearsi una realtà parallela, in cui c’è una madre che sta in carcere e la chiama ogni mercoledì da lì: da una parte riesce a crearsi una nuova vita fatta di lavoro e vodka, dall’altra si tiene ancorata al passato vivendo una realtà completamente frutto della sua fantasia.

In questo caso specifico vediamo come Eleanor abbia totalmente rimosso il ricordo della morte della madre e della sorella; le sue emozioni relative all’evento traumatico sono completamente annebbiate. Non è un caso che le emozioni, espresse con il pianto, vengano fuori proprio nelle sedute in cui la dott.ssa Temple la spinge a ricordare a piccoli passi ciò che è accaduto, prima con il ricordo dell’esistenza di Marianne, poi con il ricordo completo di tutta la vicenda.

 

Maria Tempe era molto tranquilla. “non preoccuparti Eleanor. Faremo un passo alla volta. Riconoscere che Marianne è tua sorella è una cosa enorme. Arriveremo al resto a tempo debito.”

“Vorrei poterne parlare ora”, sbottai, furiosa contro me stessa. “ma non ce la faccio”.

“Certo, Eleanor”, mi tranquillizzò. Fece una pausa. “Pensi che sia perché non ricordi ciò che è successo a Marianne? O perché non vuoi ricordare?” la sua voce era molto gentile.

“Non voglio”, dissi piano, tranquillamente.

Prima di ogni seduta mi dicevo che quello sarebbe stato il momento giusto per parlare di Marianne, ma poi, quando si trattava di farlo, non ci riuscivo.

 

Solo a questo punto le varie parti di Eleanor sono integrate e armoniche, non è un caso che sia proprio da quel momento che lei si abbandona all’abbraccio di Raynold.

Ha scoperto chi è attraverso il ricordo della sua storia, di ciò che le ha fatto male ma che ormai appartiene al passato.

Questo non vuol dire che verrà dimenticato ma che ora può essere ricordato con  un “dolore sereno” di cui ora potrà parlare.

 

 

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